Tre grandi imprese di viaggio nella Storia, tutte al femminile

La storia ci insegna che le grandi conquiste, le grandi traversate attorno al globo, sono state compiute dagli uomini. Ma siamo davvero sicuri che sia così? Se da un lato spicca la figura di Penelope, moglie paziente di Ulisse che attese per circa 20 anni il suo ritorno in patria da un viaggio apparentemente interminabile, dall’altro troviamo figure femminili altrettanto tenaci e degne di rappresentare l’intera categoria, coraggiose protagoniste delle proprie avventure.

In occasione della Giornata internazionale della donna, vogliamo regalarvi queste tre incredibili storie di viaggio, storie di donne che grazie alla determinazione che le contraddistingue sono riuscite a svincolarsi dai dettami imposti loro dalla società e a compiere imprese sensazionali. E non dimenticate mai che siete la poesia del mondo, perché come diceva Rubén Darío: “Senza donna, la vita è pura prosa“.

Nellie Bly

«Va bene, mandate pure un uomo. Io partirò lo stesso giorno e vi dimostrerò che arriverò prima»

Nata il Pennsylvania sotto il nome di Elizabeth Cochran nel maggio del 1864, Nellie Bly è stata pioniera del giornalismo investigativo. Attivista e imprenditrice, nonché reporter di guerra, è nota al grande pubblico per aver compiuto il giro del mondo in tempi record.

Entrò nella redazione del «Pittsburgh Dispatch» nel 1885, all’età di ventuno anni. Quella del giornalismo era tuttavia una strada poco conveniente per una giovane donna come lei, per questo decise di coniare lo pseudonimo di Nellie Bly.

Da subito si interessa a temi di carattere sociale, come lo sfruttamento minorile o l’abuso delle donne lavoratrici, in particolare nelle fabbriche. Malgrado il suo successo in ambito giornalistico, tuttavia, la giovane reporter entrò nella storia per aver portato a termine un’impresa incredibile: è stata proprio lei a effettuare il giro del mondo in soli 72 giorni, battendo ogni record conquistato in passato.

Nel 1889, dopo aver letto il celebre capolavoro di Jules Verne “Il giro del mondo in 80 giorni“, suggerì a Joseph Pulitzer di finanziarle un viaggio senza precedenti. Il 14 novembre del 1889 lasciò New York, almeno fisicamente, mentre il «New York World» continuò a pubblicare giorno dopo giorno i suoi articoli. Fu lo stesso Pulitzer a coinvolgere il pubblico di appassionati lettori in una lotteria istituita per indovinare il momento esatto in cui la giovane esploratrice sarebbe tornata in patria.

Finalmente il 25 gennaio del 1890 alle 15:51 Nellie Bly rientrò a New York, portando a casa un record della durata di 72 giorni, 6 ore, 11 minuti e 14 secondi, dimostrando di riuscire lì dove nessun uomo era mai stato all’altezza.

Amelia Earhart

«Quando raggiunsi la quota di due o trecento piedi, seppi che dovevo volare»

Nata in Kansas nel 1897, è un’indiscussa icona femminile nonché la prima donna a compiere da sola la traversata aerea dell’Atlantico e del Pacifico.

Figlia di una benestante famiglia, Amelia Earhart trascorse la sua prima giovinezza tra Stati Uniti e Canada. Fu in occasione della fine del Primo Conflitto Mondiale, quando si offrì volontaria per assistere le infermiere che curavano i soldati di ritorno dalla guerra, che entrò per la prima volta in contatto con degli aviatori. La passione embrionale per gli aerei, sorta in quel contesto grazie ai racconti dei piloti, venne rafforzata dalla sua esperienza diretta: a seguito di un volo durato appena 10 minuti nei pressi di Long Beach, Amelia si sentì da subito in connessione con il cielo e con i mezzi che le permettevano di sfiorarlo.

Esempio di grande tenacia, fece di tutto per raggiungere il proprio obiettivo. Passò da un lavoro all’altro pur di racimolare quanto sufficiente a prendere lezioni dalla celebre aviatrice Anita “Neta” Snook. Trascorse gran parte delle sue giornate in aeroporto, si tagliò i capelli per somigliare alle sue colleghe e finalmente, nel giugno del 1928, venne scelta come primo passeggero donna su un volo transatlantico. Poco dopo il suo ritorno partì nuovamente, stavolta in solitaria, sorvolando l’oceano e dimostrando, ancora una volta, il suo spirito intraprendente.

Morì nel 1937 a seguito di un incidente mentre era intenta a portare a termine l’ambiziosa impresa di un viaggio intorno al mondo, facendo ciò che amava e insegnandoci una preziosa lezione: niente è impossibile se lo si desidera ardentemente, persino volare.

Junko Tabei

«Tecnica e abilità da sole non ti portano in cima; è la forza di volontà la cosa più importante»

Junko Tabei (Ishibashi da ragazza) nacque nel settembre del 1939 nella regione di Fukushima, in Giappone, in un luogo e un tempo che l’avrebbero voluta chiusa in casa ad occuparsi delle faccende domestiche. Nessuno si sarebbe mai aspettato un’impresa grande come quella di scalare la montagna più alta del mondo da parte di una donna, nessuno tranne lei.

La passione per l’alpinismo sorge all’età di 10 anni, quando durante una gita scolastica ha la possibilità di incamminarsi lungo i pendii del Monte Asahi (2300 mt) e del monte Chausu (1400 mt). Si può dire, con assoluta certezza, che da lì in poi la strada per Junko sarà tutta in salita.

È nel 1969 che decide di condividere questa sua viscerale passione con altre donne e fonda il “Ladies Climbing Club”, con lo slogan «Andiamo a fare una spedizione all’estero, da sole», che ben esprime l’animo estremamente indipendente della Tabei.

Dopo aver scalato le vette di oltre 70 Paesi, l’ambizione la porta a far parte del progetto “Japanese Women’s Everest Expedition”, un’iniziativa tutta al femminile alla conquista del Monte Everest, la “madre dell’universo” (dal tibetano Chomolungma ). Il gruppo era composto da 15 donne lavoratrici che, dopo una preparazione durata ben 5 anni, nel 1975 iniziarono l’ascesa insieme a 9 guide sherpa. Nonostante la valanga che le travolse a 6300 mt, il 16 maggio 1975 Junko riuscì a raggiungere il traguardo della sua intera vita e a diventare la prima donna ad aver mai messo piede sulla punta del mondo.

La celebre alpinista ha dato prova che la propria forza di volontà supera anche i pronostici più sfavorevoli. E che bello deve essere stato osservare dall’alto tutti quelli che non le davano alcuna speranza ancor prima di iniziare e con un fiero sorriso godersi una vista mozzafiato.

Di Alessandro Di Poce

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